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      Nel fondo della bottega, tra le bige oscurità dei grossi ferrami, interrotte da riflessi giallicci di ottoni, e da lucentezze chiare di arnesi bruniti, successero scene indescrivibili: la voce grossa di Pippo invadeva l'ambiente scoppiando, ruggendo, con veemenze furibonde, che avrebbero fatto gelare il sangue nelle vene. Nel suo risentimento contro il padre, egli arrivava fino al punto di giustificare i ladrocini del fratello Mario. Meritava ben peggio, il vecchio esoso: a girare il mondo non si sarebbe trovato un ugual mostro traditore del sangue suo. Faceva l'elemosina di tremila scudi ad un figlio che lo aveva sempre aiutato, senza defraudarlo mai di un centesimo, lui che contava le centinaia di migliaia! No, per tutti i santi: non poteva andare a finir bene. Pippo sarebbe ammattito se avesse dovuto rinunciare alla speranza di una vendetta solenne.
      Ma Pippo pagava salati simili eccessi. Gli troncava le parole in bocca uno sguardo supplichevole, un brivido d'orrore da parte d'Irene. Egli perdeva la bussola, gettato d'improvviso nell'annichilimento della vergogna. Non sapeva acconciarsi all'opinione che la fanciulla doveva formarsi di lui, ed a sua volta tremava soprafatto dal disprezzo di se stesso. Avrebbe voluto almeno ch'ella agisse diversamente; lo ritenesse degno della collera sua; esigesse da lui promesse di pentimento. Si sarebbe sentito capace di qualunque umiliazione, a patto di non vederla piú in quello stato. E riducevasi a non aver neppure il coraggio di scusarsi.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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