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      Irene trasformava il marito, facendone un uomo possibile; ma non si accorgeva che, sotto un certo punto di vista, lo peggiorava. Infatti, s'egli era piú spigliato, piú corretto, se gli si affinavano i tratti, ed il suo linguaggio diventava meno scorretto e sboccato, questa ripulitura esteriore lo educava alle livide dissimulazioni di un ipocrita. I suoi odî contro i propri parenti acquistavano di perfidia e d'intensità quello che perdevano di brutale virulenza. Del resto, continue cagioni si accumulavano per rendere sempre piú acre e mortale questo antico veleno: la chiusura del forno a via del Pellegrino; le vendite di stabili che rivelavano nel vecchio Ferramonti il progetto di una spogliazione; le notizie che arrivavano fino a S. Eustacchio, portatevi dagli oziosi e dagli inframmettenti, sui propositi manifestati da padron Gregorio riguardo ai figli. Spesso Pippo faceva di tutto per distogliersi da tali pensieri, pauroso d'esserne spinto a qualche delitto, che lo avrebbe compromesso. Ma egli aspettava ancora la morte del padre, come l'occasione di un'acre gioia: l'ebbrezza immensa di una vendetta ottenuta dal caso.
      Irene parve persuasa di non poter nulla su tale stato dell'animo del marito. Rassegnavasi al fosco dramma di passioni e di odi che rendeva realmente impossibile la felicità della sua casa. Ella ottenne soltanto che Pippo cessasse di prenderla confidente dei suoi sfoghi. Voleva egli farla morire di dolore, di vergogna e di raccapriccio? Lo supplicava come si supplica il Signore: domandava di essere risparmiata, come la prova suprema di amore che Pippo potesse darle.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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