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      In quel primo incontro fra parenti, Paolo cercò di porsi naturalmente sotto un punto di vista favorevole; fors'anche di colpire l'imaginazione dei cognati. In realtà, a poco a poco, crebbe nel concetto di Pippo. Costui cominciava a sentire come un solletico dolce: il germogliare, nel proprio cervello di bottegaio, di una vanità di villan rifatto. Infine, doveva confessare a se stesso che fa un certo effetto potersi dire parente di un personaggio di conto che vive nella miglior società. Può anche essere utile in qualche occasione, anzi in molte occasioni.
      Si alzarono con grandi esclamazioni di gente sorpresa dall'ora tarda, promettendo di rivedersi il piú frequentemente possibile. Ma Paolo non se ne contentò: perché la domenica prossima i Ferramonti non andavano a mangiar quattro risi dai parenti? Non dovevano dir di no. Si sarebbero rivisti dunque domenica, a tavola. Un piatto di buon viso avrebbe supplito al resto. Che diavolo! non erano per nulla tra fratelli e tra cognati.
      - Ha delle buone qualità, Paolo! - sentenziò Pippo appena partiti i Furlin. Irene sorrise.
     
     
      IV
     
      Quella relazione si cementò. Furlin seppe rendersi utile, procurando al cognato certe forniture di minuti oggetti: maniglie, arpioni, toppe, chiodi. Non erano affari molto grassi; ma assicuravano un guadagno positivo, e preparavano il terreno ad operazioni piú importanti. I grandi lavori per l'assetto della capitale avrebbero dato occasione a metter meglio le mani in pasta.
      Allora Pippo, nella sua logica d'uomo interessato, rammaricò il tempo perso a fare il sostenuto.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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