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      Da mesi la famiglia aspettava appunto ch'egli capisse di aver torto. Ma adesso non v'era piú un momento da perdere. Se ne sarebbe incaricato Paolo.
      - Paolo? - fece Pippo, fiutando un'altra novità.
      - Sí, Paolo. Egli e Mario sono già buonissimi amici. Si stimano molto. Mio marito crede Mario la testa forte della famiglia; ritiene che avremo il nostro tornaconto a rendercelo favorevole. E allora si rimane intesi: Paolo condurrà Mario in casa tua. Si sarà tutti contenti. Tu ed io specialmente, perché tu ed io ci guadagneremo piú degli altri.
      Fratello e sorella si guardarono con un lampo negli occhi. Si comprendevano; si confessavano scambievolmente, come in una crise di sincerità. Pippo non si ribellava alla muta e sardonica compassione colla quale Teta gli rimproverava la sua mancanza di scaltrezza. Che importava ad ambedue, se Mario era il bastardo della famiglia e li aveva derubati in altri tempi? Adesso potevano sfruttarlo, renderselo utile. Proprio era il momento di guardare le cose pel sottile!...
      Ambedue rammentarono nello stesso tempo di avere udito parlare tre o quattro sere addietro, ai martedí della Minelli, di una prossima emissione di azioni: la comparsa di un nuovo Istituto bancario. Qualcuno s'era congratulato con Irene che suo cognato fosse uno dei manipolatori dell'affare.
      - Allora, come debbo contenermi? - domandò Pippo, passandosi una mano sulla fronte, coll'atto di un uomo che ha il cervello in ebullizione.
      - Non ci pensare. Aspetta stasera.
      - Debbo avvertire Irene?
      - Si capisce.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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