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      Piú tardi rivelò il segreto a forza di mezze parole sfuggitegli dalle labbra nei momenti di abbandono e di oblio. Allora, trovata una via di uscita, il suo veleno schizzò fuori tutto. La sua indole maldicente si sfrenava in una rabbiosa protesta d'uomo deluso, in una intemperanza di linguaggio da fargli meritare la destituzione. Pretendeva di non parlare per sé. Posava da filantropo, e da uomo disinteressato, superiore a certe miserie. Ridevasi di uno straccio di croce, che non si era mai dato il pensiero di sollecitare. Ma costretto a controgenio di vivere nella baraonda burocratica, non ne poteva piú. Gli saltava troppo agli occhi il marcio che v'era dentro; lo indignavano troppo le prepotenze, le ingiustizie e le miserie che si succedevano intorno a lui.
      Perorava la causa della moltitudine affamata: gli straordinari a settantacinque ed a novanta lire al mese; gli ufficiali d'ordine saliti a millequattrocento lire dopo vent'anni di carriera. Li dipingeva come i soli stromenti utili ed attivi del macchinismo amministrativo, curvi nel loro lavoro da forzati sette, otto, dieci ore del giorno, intisichiti dalla fatica e dalla povertà, dinnanzi agli ozî grassi ed insultanti delle classi superiori. Ripeteva i cancans di cui erano piene le pensioni a sessanta lire al mese e le trattoriacce che dànno la zuppa a tre soldi ed il lesso guarnito a sei. I suoi pudori e le sue intolleranze d'uomo morale n'erano urtati fino all'esagerazione. Perdio! se ne vedevano proprio d'ogni colore: avevano messo in pianta Stefano Vaghi, uno scavezzacollo rovinato, senza la piú derisoria formalità d'esami, nominandolo di primo acchito vice segretario.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





Stefano Vaghi