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      Ma quelle operazioni di poche centinaia di lire, le rendeva complicatissime ed interminabili. Ne ritardava la conclusione, cercando pretesti assurdi, mentre ingolfavasi in tutte le indagini possibili sulla solvibilità e sulla puntualità del suo futuro debitore. Voleva firme di garanti superiori ad ogni eccezione; promesse solenni che non si sarebbe parlato mai, per nessun motivo, di prorogare le scadenze. Senza accorgersi di cadere in contradizione, ripeteva fino alla sazietà, che non era un usuraio, e che voleva mettersi completamente al coperto, appunto perché acconsentiva a metter fuori il suo danaro per solo tratto di condiscendenza e di buon cuore. In realtà, esigeva l'interesse onesto e modesto del cinque per cento all'anno, libero e netto da spese: meno di quello che esigono le Banche.
      Ma i suoi intimi erano esclusi da tali generosità. Diceva che non ci possono essere relazioni quotidiane e cordiali fra creditore e debitore. Egli non amava le posizioni equivoche: i suoi amici dovevano essere i suoi amici, e null'altro.
      Insomma, egli si era formata la piú tranquilla esistenza di vecchio sornione. A poco a poco, i rancori contro i figli che lo avevano abbandonato ed offeso, eransi calmati, trasformandosi in una specie di disprezzo sardonico che covava una vendetta indeterminata. Egli rideva delle arie da signori prese da Mario, da Teta ed anche da quel bestione triviale di Pippo, sfoderando una litania di epigrammi atroci. Quei bravi ragazzi! Volevano mostrare che avevano sangue nobile nelle vene; prepararsi a far saltare decorosamente i quattrini raggruzzolati da papà! Ma che burletta preparava loro, il vecchio Gregorio!


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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