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      Per averne un'idea, bastava riflettere ch'egli ci meditava sopra da anni, impiegandoci tutte le sue ore d'ozio.
      Ma non concretava realmente mai nulla. I curiosi restavano nel campo delle ipotesi campate in aria. Non si poteva assolutamente prevedere che cosa Ferramonti avrebbe fatto del danaro che continuava ad accumulare con una ingordigia di avaro. Esclusa come assurda la idea che egli potesse farne qualche donazione a privati bisognosi, a chiese, ad ospedali, o che potesse arricchirne parenti lontani, affatto sconosciuti, la piú logica conclusione era che il vecchio fornaio, malgrado le sue minacce, avrebbe finito col lasciare ai figli di che rimpannucciarsi famosamente, col marsupio che gli avrebbero trovato in casa.
      In ogni modo, la brigata raccolta intorno al tavolino del Caffè delle Alpi sapeva di far piacere a Ferramonti, col tagliare i panni addosso alla sua discendenza. C'erano certe irruzioni di fredde malignità, nelle quali ognuno faceva a chi le dicesse piú grosse. In genere, Teta e Pippo si dipingevano come due idioti, lasciatisi abbindolare da due intriganti. Furlin doveva aver meditato senza dubbio di sfamarsi e di pagare i suoi debiti colla dote della moglie. Forse non esisteva già piú un centesimo dei tremila scudi strappati a padron Gregorio in un modo indegno. E Pippo, lui sí, doveva essere stato conciato per le feste, dalla moglie! Era impossibile, ch'ella non gli ricamasse la testa. I quattrini per far la principessa dovevano uscire da qualche parte, non è vero?


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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