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      Ebbene, la sortita di Lalla Frati fu come la rottura di una diga. Ferramonti non era piú padrone di mettere il naso fuori di casa, senza vedersi circondato da imbecilli, che si congratulavano con lui, che gli domandavano l'epoca delle nozze, e che gli tessevano le lodi delle future attribuitegli. Ce n'erano per tutti i gusti: attempate, ragazze nubili, vedove, ricche, povere, belle e brutte. E nessuno metteva in dubbio l'avvenimento in genere. Qualche infame burlone doveva essersi messo in giro apposta per ordire quella specie di commedia scandalosa.
      La tranquillità del vecchio Ferramonti vi annegò. Non sapeva darsi pace. Viveva meditando propositi feroci, nel sospetto che tutto il rione si divertisse alle sue spalle. Non sapeva piú come regolarsi: non lo credevano, sia che negasse mandando la cosa in burletta, sia che ci si arrabbiasse fino a far delle scene. Era tentato di ridursi in casa come un orso selvaggio nella sua tana. Non si fece piú vedere al caffè. Si persuase che non ne avrebbe evitata una malattia di rabbia e di bile.
      Ma allora trovò nella signora Lalla Frati il conforto di un'amicizia discreta e consigliatrice. Era costretto a riconoscere in quella donna delle qualità ottime. Lei trovava modo di calmargli il dispiacere; pigliava sopra di sé l'impegno di far cessare gradatamente le ciarle che avvelenavano il suo povero amico. Peraltro essa voleva farlo convenire di avercene un pochino di colpa: non s'era mai visto un uomo della sua qualità e coi suoi mezzi, viver cosí, solo come un cane.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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