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      Si capiva: il mondo, persuaso che le cose non potevano durar sempre in tal modo, doveva credere facilmente a tutte le fole inventate per annunciare un cambiamento.
      A poco a poco, tali discorsi presero una piega particolare. Ferramonti riconosceva di dover mutare sistema di vita; cercava il mezzo; ci si affannava in buona fede. Talvolta trovava molto assennate certe osservazioni incidentali della signora Lalla. Sicuro, il rimedio sarebbe stato là, pronto: mostrare al mondo, che si vuol bene a qualcuno. Il vecchione non godeva piú del suo isolamento; non si cullava piú, soddisfatto, nei suoi odi contro la parentela. Ora invece ne subiva la necessità, sentendone il duro peso.
      Frattanto, i pettegolezzi della strada duravano, facendosi piú incalzanti e piú precisi, nonostante gli sforzi della Frati per spazzarli via. Buon Dio! ci voleva ben altro! n'era piena mezza Roma! Non si aveva piú neppure la magra soddisfazione di sperare, che i nomi diversi citati a principio servissero essi stessi, colla loro molteplicità, a screditare le dicerie. N'era rimasto uno solo, quello di una ragazza venticinquenne: Mimma Scozzi. Era la figlia di un erborista a Borgo Pio. Il ridicolo cresceva. Mimma Scozzi, bellissima, non s'era maritata ancora, per certe storie compromettenti. Non aveva un soldo, e suo padre, il semplicista, era gobbo. Si diceva fissato il matrimonio a settembre, aggiungendosi che padron Gregorio faceva una dote di diecimila scudi alla propria fidanzata.
      Poi Ferramonti ci ebbe il colpo di grazia.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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