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      Non si dava davvero pena alcuna di trattare con dei riguardi quel miserabile imbecille; e d'altra parte, non ne aveva bisogno. Egli diventava schifoso d'abbiezione; tremava dinnanzi alla moglie come un ragazzino scemo dinnanzi all'orco, ed avrebbe tenuto il candeliere a quella tal cosa, senza batter ciglio, solo che a lei fosse saltato il capriccio di comandarglielo.
      All'infuori di tali sfrenate maldicenze, Pippo subiva in realtà una strana trasformazione. Ridiventava l'uomo volgare che Irene aveva saputo dirozzare, e la ricaduta si aggravava con una manifestazione improvvisa di vizi e di corruttele che quell'uomo non aveva avuto mai dianzi. Trascurava la bottega; scialacquava il suo danaro; sfrenavasi in lui il crapulone ed il libertino da trivio. Forse cercava delle consolazioni e degli stordimenti. Nel gennaio i Furlin seppero che aveva preso assolutamente per abitudine il tornare a casa, ogni sera, briaco come un vero maiale.
      Frattanto Irene mostravasi interamente assorbita nelle cure del suocero. Dapprima gli era entrata in casa coll'aria di una parente alla buona, in visita di confidenza, affrettandosi ostentatamente a tornarsene via, come timorosa di rendersi indiscreta. Poi, a poco a poco, le visite si erano prolungate. Non era piú necessario che il vecchio Ferramonti fosse ad aspettarla, e che ambedue dovessero trattenersi insieme, nel salotto dalla vecchia mobilia, che rammentava i tempi passati della famiglia del fornaio. Suocero e nuora si mettevano in libertà. Ella entrava, si liberava del cappellino, dei guanti, di tutti gli amminicoli della teletta per fuori; e se padron Gregorio non c'era, lo aspettava, facendo il proprio comodo.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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