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      I brodi consumati e fragranti e le leccorníe delicate che la nuora gli faceva trovare ogni giorno, mettendosi tante volte lei stessa a cucinare, gli rammentavano i beveroni ripugnanti e le pietanze inqualificabili di cui s'era avvelenato per tutta la vita; e gli pareva di sentirsi male quando non riusciva a cacciar via subito tali ricordi. Che differenza! ...
      E la squisitezza dei cibi era il meno. Il pranzo dissipava gli ultimi riserbi esistenti tra suocero e nuora; eccitava una piena e gioconda effusione, una libera confidenza. Padron Gregorio arrischiava dei madrigali all'indirizzo della giovine donna. La trovava cosí bella da far dannare Sant'Antonio. Ridevano molto. Si lasciavano scivolare sulla china di scherzi provocanti, ed Irene non comprendeva le occhiate, i sorrisi ed i sospiri concupiscenti del suocero.
      Lei pure, del resto, aveva dei subitanei rossori, degl'imbarazzi inesplicabili, delle fiamme vive negli occhi profondi. Veramente, scherzavano col fuoco, ambedue. Certi giorni la loro tenerezza non si appagava di semplici parole. La nuora, con la cieca ingenuità di una bambina, spingevasi fino a sedere sulle ginocchia del suocero, per accarezzarlo colle mani gentili, per tenere il suo viso acceso di vecchio, vicinissimo al proprio, splendido di gioventú e di bellezza. E sempre, ella odorava di quell'odore inebbriante di verbena! Rideva a sentire il suocero fremere tutto sotto di lei. Soffriva egli dunque molto il solletico?
      Ma non mancava qualche nube, in quella felicità, chiusa nel segreto di quattro muri, e profondamente egoista.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





Gregorio Sant'Antonio Irene