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      L'imagine degli altri Ferramonti veniva a turbarla, di tanto in tanto. Erano delle circostanze lievi, delle insidiose associazioni d'idee; specialmente il pensiero fisso che Irene aveva un'altra casa dalla quale veniva ogni mattina, e dove era obbligata a ritornare ogni sera. Allora suocero e nuora si sorprendevano a parlare di Pippo, di Mario, dei Furlin. Per un pezzo ella sostenne ammirabilmente la sua parte d'angelo della pace, moderando i trasporti appassionati del suocero, ingegnandosi a trovare pel marito e pei cognati delle attenuanti; mostrando di cullarsi in una vaga speranza di pentimenti e di perdoni. Ma, a poco a poco, padron Gregorio sospettò che tale contegno mascherasse in lei profondi sconforti. La difesa, una volta spontanea ed energica, diventava sempre piú incerta, non dissimulava certe amare inflessioni di voce; era interrotta da certi sospiri improvvisi. Infine, il segreto affanno che stringeva il cuore d'Irene, scoppiò. Buon Dio! il destino non era giusto con lei! E quella esclamazione sfuggitale, fu il preludio di nuove confessioni. Ella doveva riconoscere che padron Gregorio trattava i suoi figli assolutamente come si meritavano. Tutti i sogni di lei svanivano. Aveva voluto fare di suo marito un uomo ricco e stimato; per un istante aveva creduto d'esserci riuscita; ed ora doveva crudelmente disingannarsi. Pippo non l'ascoltava piú; trascurava il negozio fiorente; s'impantanava nei vizi; s'imbestialiva, come per ricattarsi di aver qualche tempo vissuto da uomo per bene in mezzo a gente per bene.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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