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      Ma, dagli ultimi giorni di marzo, Irene aveva piantato il chiodo ch'egli cominciasse a buon conto col permettere a Mario di presentarsi a lui. Una ricaduta nei soliti incomodi che il vecchio soffriva, dette pretesto alla giovine donna di condurgli appunto in casa il figlio, all'impensata.
      Ferramonti n'ebbe il sangue in subbuglio; ma dopo la prima impressione, riflettendo che l'incontro s'era già reso inevitabile da qualche tempo, prese il partito di assoggettarvisi con disinvoltura. D'altra parte, Mario si condusse benissimo. Mostrò d'interessarsi molto alla salute del padre, e si protestò lieto di poter vedere coi propri occhi, che certe inquietudini nutrite negli ultimi tempi, non avevano ragione di esistere. Poi rammentò lui stesso il passato, riconobbe i propri torti, alluse ad errori giovanili crudelmente scontati. Sicuro; le circostanze mutano gli uomini, ed egli, dal giorno della sua uscita dalla casa paterna, era diventato un altro uomo.
      Padron Gregorio non fu molto espansivo. Un lieve riflesso d'ironia brillava nei suoi sguardi, e caratterizzava il suo sorriso bonario. Esaminava Mario con insistente attenzione, come per rendersi conto dei cambiamenti avvenuti in lui dacché non si vedevano piú, e come per ricercarvi somiglianze di figura e di espressione, che dovevano rammentargli pettegolezzi antichi. Nondimeno era affabile. Sviò a tempo il discorso, facendolo cadere sopra argomenti neutri ed innocui. Non pronunciò una parola che potesse comprometterlo od impegnarlo, dimenticò fino di dire al figlio che poteva tornare a suo piacere.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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