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      Non voleva né osservazioni, né consigli; faceva peggio se qualcuno, Irene compresa, ci si provava. E quando reclamava dalla nuora i lieti piaceri della sua compagnia, era come se lo movesse soltanto una febbre dei sensi, una specie di spasimo che lo faceva delirare. Rivolgeva alla giovine donna parole infiammate di un amore furibondo; e voleva ch'ella lo empisse di cibo, preparato da lei, lo ubriacasse di vino, offertogli dalle sue mani; gli desse tutti i godimenti possibili colle sue parole, co' suoi sguardi, col suo ridere squillante, colle sue moine di bella creatura. Poteva porgergli, s'ella lo avesse voluto, una tazza di veleno: avrebbe visto con quanta delizia egli era capace d'inghiottirlo.
      Ella non frenava tali irruenze. L'agitazione forsennata del vecchio restava come la sua garanzia ultima. Sapeva perfettamente che il suocero tornava a lei eccitato in tal modo, perché vinceva violentemente le ripulsioni e gli orrori ch'essa gli destava. Ella assisteva imperterrita ad un martirio, che avrebbe fuso il cuore di qualunque altra donna al posto suo.
      Nonostante le dissensioni della nuora, Ferramonti aveva voluto occuparsi a cercare l'autore della lettera anonima. N'era stato buono il profitto!... Nient'altro che veder compiuta l'opera della denuncia. Il vecchio non ignorava piú la sozza leggenda di cui la famiglia Ferramonti faceva le spese. Senza dubbio non era che un'infame calunnia l'attribuire un carattere osceno ai rapporti fra suocero e nuora; ma la stessa enormità di questa credenza non provava forse la verità delle altre brutture, senza le quali non sarebbe stata possibile?


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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