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      Egli non parlava; ma i suoi sguardi ed i suoi sorrisi mettevano i brividi addosso.
      Il vecchio Ferramonti si vendicava di tali scelleratezze collo spettacolo insultante della sua prosperità. Avrebbe ucciso un toro con un pugno; destava invidia agli uomini di quarant'anni. Nondimeno Irene giudicava assai diversamente quella floridezza d'apparenza. In realtà padron Gregorio cominciava a temere lui stesso sul serio della propria salute. Accusava una pesantezza di testa, una confusione d'idee; le vertigini, che lo avevano infastidito dal principio della primavera, si facevano piú frequenti. Il peggio era ch'egli si ostinava sempre a non voler sentir parlare di rimedi e di cure. Al contrario, una pazza frenesia lo spingeva ai disordini verso i quali aveva pencolato dopo l'apparizione della nuora. Diventava un ghiottone ed un beone incorreggibile.
      S'attaccava ad ogni pretesto per soddisfare le brame di questo vizio. Non si sarebbe trovato un cattolico fervente ed epicureo, piú scrupoloso di lui nell'osservare a tavola le infinite solennità religiose. Tali ricorrenze portavano nella vecchia casa in via del Pellegrino un andirivieni di garzoni spediti dalle botteghe piú accreditate di Roma con ogni sorta di ghiottonerie. Si disprezzavano i prodotti di stagione ed a buon prezzo, unicamente perché non erano rarità e non costavano cari; non bastavano le semplicità della cucina e della tavola casalinga: si volevano i piatti composti, i pasticci di Spillmann, i dolci di Singer, i vini imbottigliati di Francia.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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