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      Si aspettava appunto lui per metter giú la minestra e per cuocere il fritto; ma Irene, al vederlo scalmanato, lo mandò in camera a cambiarsi ed a riposarsi, disponendo che s'indugiasse qualche altro minuto.
      Finalmente passarono insieme nella stanza da pranzo. All'entrare, padron Gregorio gettò un grido di soddisfazione. Per la madonna! non ci mancava nulla davvero! C'era da far risuscitare un morto! Per conto suo, il vecchio goloso sentiva un solletico allo stomaco e l'acquolina in bocca. Una molle passione gonfiava i suoi occhi ridenti, passava con un lieve fremito sulle sue narici dilatate a fiutare intorno.
      Nondimeno il pranzo non cominciò con trasporto eccessivo. La zuppa di cappelletti al brodo di pollo e di manzo non fu terminata da nessuno dei due, quantunque la trovassero squisita. Del resto succedeva sempre cosí: quel tu per tu ad una tavola che faceva pensare ai simposii di una grossa brigata di buontemponi, metteva nella stanza troppo vasta come un freddo di solitudine. I ferri si riscaldavano successivamente, a poco a poco, per la virtú elettrizzante del mangiare e del bere. Infatti, appena arrivati all'umido, certe scaloppine di vitella col marsala, Ferramonti era già diventato un altro uomo. Parlava alto, rideva molto, beveva moltissimo, cogli occhi già impiccoliti e luccicanti, colle gote scarlatte. Rimproverava Irene di non fare onore al pranzo: era una vera viltà! Poi, coi fumi delle vivande, e col gorgoglio del sangue fattosi ardente nei corpi pasciuti, i due commensali avvertirono il caldo.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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