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      Ma lei dimenticava tutto, tutto: anche il suocero. Quando vinse la propria commozione e fu in grado di rialzarsi, una gioia strana scintillava nei suoi occhi. Ripose la chiave del forziere nel cassetto del comò; si guardò intorno vittoriosa.
      - Di là tutto è all'ordine, - annunciò la donna di servizio, affacciandosi sulla porta. - C'è bisogno di nulla, qui?
      Irene sussultò. Rammentavasi di non aver piú neppure pensato, da quasi mezz'ora, a ricambiare le borse da ghiaccio sulla testa dell'infermo, ed i panni applicati a raccogliere lo spurgo delle sanguisughe che lo svenavano.
     
     
      XVIII.
     
      La famiglia Ferramonti seppe condursi convenientemente nei cinque giorni durante i quali si prolungò l'agonia di padron Gregorio. Avevano delle arie perfette di gente colpita da una sventura orribile. La casa paterna li riattirava; Pippo ed i Furlin vi piantarono le tende. Si divisero le stanze da buoni parenti; assunsero di comune accordo ciascuno la propria parte di autorità e di comando in quella casa, che stava per cadere in loro proprietà legittima.
      L'idea di accomodarsi appunto cosí, era partita da Furlin. Pippo l'aveva seguita dopo qualche debole obbiezione, mentre rodevasi di non poter dire apertamente che avrebbe preferito sapere il cognato cento miglia lontano. Il solo Mario aveva lasciato che gli altri prendessero posizione per sorvegliarsi reciprocamente da vicino. Egli si limitava a comparire in certe ore fisse di giorno e di notte per informarsi; poi se ne tornava via. Non restava mai piú di quanto era strettamente necessario e voluto dalla convenienza.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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