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      Certe allusioni rivelavano lo stato degli animi, sotto forma di proteste amichevoli. Le provocava sempre Pippo, quell'ingordo bottegaio, che non adorava proprio piú che il dio Quattrino. Del resto, egli si dava le arie di un buon diavolaccio: bisognava rammentarsi di essere tra parenti, che non vogliono far ciarlare il mondo. Gli altri approvavano con dei cenni lievi del capo, con ammiccamenti degli occhi pensosi e freddi.
      La mattina del martedí cessarono totalmente nell'infermo i lucidi intervalli, che nei giorni antecedenti aveva potuto attraversare. Ormai egli era nelle mani del parroco, al quale la famiglia lo aveva abbandonato. Alle dieci gli amministrarono l'olio santo; poi la voce dei prete dominò alta e triste colle preghiere e cogli ammonimenti che il cattolicismo destina agli agonizzanti. La camera era già trasformata in una cappella mortuaria. Avevano fatto del comò una specie di altare, stendendovi sopra una tovaglia e collocandovi un crocifisso fra due ceri, il vasetto dell'olio santo, una stola. Il parroco, in cotta, sedeva leggendo le preghiere nel suo libro, con una solennità di convenzione affatto meccanica. Il suo viso scialbo ed astuto conservava l'indifferenza di un uomo per cui nulla di quello che accade riesce nuovo, e che resta al suo posto per obbligo di mestiere. Egli seguiva con sguardi lunghi, muti ed oziosi, le figure che andavano e venivano in punta di piedi, nella fitta penombra della camera: parenti e conoscenti che s'inginocchiavano ai piedi del letto, pregavano un momento e sparivano.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





Pippo Quattrino