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      Narrò gl'incidenti occorsi con una minuzia di particolari, con una verbosità affannosa di donnicciuola che mette in piazza i suoi crucci segreti. Lui non intendeva, per Cristo! che Irene riuscisse a derubare la famiglia. Che gliene importava s'era sua moglie, e se questa circostanza poteva far credere agl'imbecilli ch'egli avrebbe goduto i frutti del ladrocinio? Prima di tutto era un uomo onesto e voleva, secondo giustizia, l'interesse del sangue suo; poi aveva tanto in mano da poter prevedere che cosa gli sarebbe toccato. Quella donna sciagurata aveva chi sa quali idee per la testa. Non voleva i quattrini soltanto per esser lei la padrona e disporne a proprio talento; ma era certo che una volta intascatili, non avrebbe voluto avere piú nulla che fare colla famiglia Ferramonti, ed avrebbe trovato ben lei il mezzo di levarsi di fra i piedi l'imbecille marito che si era lasciato accalappiare da una vipera di quella natura!
      Furlin, correttissimo, cercò di calmarlo: non era proprio ragionevole montarsi la testa con fantasie che nessun fatto positivo confermava. Alla Banca Romana nessuno aveva toccato il capitale della famiglia, e nessuno ormai poteva toccarlo piú, fino a ragion veduta; tutte le misure erano già state prese. Ma nessuno della famiglia doveva, a priori, neppur lontanamente dubitare una lesione di diritti evidenti e sacrosanti. E sopratutto, a certe infamie che disonorano la natura umana, non si può e non si deve credere, se non quando sono accadute. No no! Piú tardi si sarebbe parlato dei comuni interessi, mettendo assolutamente da parte le pazzie colle quali Pippo se ne usciva.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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