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      Mario giunse colla puntualità di un orologio. Aveva riacquistato la sua presenza di spirito: una disinvoltura di uomo di mondo, fredda e beffarda. Nondimeno il suo sguardo era cupo. Non aveva piú riveduto Irene; non aveva cercato nemmeno di rivederla. Forse fu sorpreso di non trovarla alla riunione; ma non chiese di lei.
      Il cavalier Furlin, giovandosi della sua posizione di padrone di casa e di erede indiretto, assunse in qualche modo la presidenza della riunione:
      - Mi pare che ci siamo tutti. Vogliamo occuparci dei nostri interessi?
      Aveva preparato proposte piene di buon senso e di equità. Parlarono prima dei beni stabili. Possedevano già gli elementi necessari per fare tre parti uguali, lasciando alla sorte il deciderne l'assegnazione rispettiva. Libero ciascun erede di alienare la propria parte; ma vincolato a preferire, a parità di offerta, il coerede che avesse desiderato l'acquisto. E poiché l'adesione in massima fu unanime, quel diavolo di Furlin trasse fuori un mucchio di appunti, dove la divisione era già minutamente tracciata. Si aveva la vigna: trentamila lire; la casa al Pellegrino: trentacinquemila; e la casa in Trastevere: quindicimila. Quota parte di ciascuno: ventisettemila lire circa, non calcolate le frazioni di migliaia. Ma non c'era convenienza a spezzare le proprietà, e fra le ventimilacinquecento lire di crediti lasciati da padron Gregorio, quindicimila erano di sicura riscossione. Era il mezzo di rotondare le partite, valutando questa parte dell'asse ereditario, novantacinquemila lire in totale.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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