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      Impazzivano dunque? dimenticavano di essere in casa sua, e che egli, in casa sua, non permetteva scene sconvenienti? S'irrigidiva nella sua dignità di funzionario titolato; calmava gli animi con un gesto solenne delle mani e della testa. Poi si volse ad Irene, come per invitarla a spiegar meglio il proprio concetto. Lei lo comprese perfettamente:
      - Lasciamo i discorsi inutili. I capitali che papà aveva deposto alla Banca Romana, sono miei da qualche tempo. È un dono di quel povero vecchio! Dio mio! - soggiunse guardandosi intorno, - m'accorgo sempre piú, che accogliete molto male la notizia...
      - Eccettuato me, - disse Mario.
      - Tu? - fece la giovine donna. - Ebbene, ti ringrazio della tua buona intenzione; ma non voglio che tu ti dia l'aria di proteggermi in un modo particolare. Davvero, è ora d'intenderci francamente anche su questo punto. La tua eccessiva amicizia non può giovarmi. Mi è già stata dannosa.
      Sorprendeva la famiglia colla sua audacia e colla sua sicurezza. Nessuno aveva saputo interromperla, e nessuno seppe risponderle al vederla raccogliersi un istante.
      - In ogni caso, - aggiunse, - il mio difensore naturale dovrebb'essere mio marito.
      - Parli proprio sul serio? - domandò Mario, esprimendo il nuovo stupore che l'ultima frase suscitava in lui.
      Ella non mostrò neppure di averlo inteso. Ma la risposta che gli negava, la dava a tutta la famiglia. Gl'interessi di lei non erano forse quelli di suo marito? Lei non si faceva illusione: figuravasi le influenze intese ad alienarle l'animo di Pippo; ma non disperava che quest'ultimo, in seguito, potesse rifletter meglio.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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