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      - Avevamo fatto dei castelli in aria: il fisco avrà la sua parte, fino all'ultimo centesimo. E mi pare che non valga proprio la pena di perdere il tempo in altri discorsi.
      Irene, sempre in piedi, guardò il marito in atto interrogatorio, come aspettando ch'egli decidesse se sarebbero usciti insieme. Egli rispose sgarbatamente.
      - Ragioneremo a casa. Io resto.
      La giovine donna non si trattenne un minuto secondo di piú; si ritirò muta, disdegnando di rivolgere un cenno di saluto alla famiglia, che lasciava da nemica. Gli altri si guardarono lungamente, confusi. Non erano stati capaci di chiedere ad Irene una spiegazione precisa sui diritti ch'essa vantava contro di loro. Se la giovine donna aveva mirato a sopraffarli con un colpo di scena, il suo scopo era stato completamente raggiunto. Lasciava dietro di sé cresciuto il concetto della propria potenza, avendo già vinta una prima battaglia. Il cavaliere Furlin, l'uomo della fiducia inalterabile nel trionfo finale della propria causa, attraversava un momento critico, sotto lo sguardo muto, insistente e corrucciato della taciturna consorte; e l'accordo vantato da Pippo ad Irene, si screpolava, crollava. Nessuno si sentiva piú in vena di parlare della sciagurata eredità. Pippo e Mario si attaccarono al primo pretesto per prendere il largo, evitando fin'anche di pronunciarsi sulle precauzioni che il cognato aveva preparato già, e che si sfiatava a spiegare, perché i capitali di padron Gregorio non uscissero dalla Banca Romana. Trattavasi di un atto giudiziario da intimarsi prima di sera alla Banca, già prevenuta.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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