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      Non ottennero neppure dei nuovi rinvii domandati. La sentenza risolutiva fu pronunciata il cinque dicembre. Il tribunale dichiarava illegale e nullo il documento presentato, chiamando gli eredi naturali di Gregorio Ferramonti al godimento dei capitali mobili sui quali era stata sollevata contestazione.
      Irene interpose immediatamente appello. Fu la sola risposta che dette al suo procuratore, recatosi a riferirle la cattiva notizia. Rifiutò nettamente di conoscere i termini della sentenza. Non era forse inutile? Dovevasi ricominciare da capo; si sarebbe ricominciato, e si sarebbe arrivati fino in fondo, a costo di rimetterci l'ultimo centesimo.
      Per lei non era piú neppur quistione di vincere: era quistione di lottare, di vendicarsi in ogni modo possibile, fin quanto le sarebbe stato possibile. Nel dividersi da Pippo, ella aveva preso un quartiere in via Gregoriana, ed aveva obbligato i genitori a seguirla lassú, lontano dalla bottega di suo marito, che non voleva piú incontrare, piú vedere per alcun motivo. Erasi chiusa in una solitudine assoluta, come una tigre in gabbia, resa impotente ad azzannare i nemici; ma non domata.
      Non si faceva illusioni sulla rovina dei suoi vecchi disegni. Non riusciva neppure a tracciarsi una linea di condotta per l'avvenire. Una sorda paura fu in sostanza la preoccupazione che la dominò lungamente. Si parlava con tanto accanimento dei suoi delitti veri e supposti; gli avvocati dei Furlin, davanti ai tribunali, avevano trovato cosí utile alla loro tesi il denunciarla nell'aula stessa della giustizia come una creatura mostruosa di cui tutto il mondo aveva orrore, ch'ella si aspettava di continuo vedersi colpita da un mandato di arresto.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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