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      Che le importava il resto? L'influenza del tempo la rassicurava; le sue folli paure svanivano, a poco a poco, e le inesorabili esigenze della sua vendetta crescevano piú che mai imperiose. Lei non viveva piú che per questo. Se la sua fortuna doveva esserne inghiottita, non le sarebbe mancato il mezzo, appresso, di rifarne un'altra.
      In maggio ebbe una gioia nella quale non aveva sperato: uno almeno dei Ferramonti non sarebbe riuscito mai a cantar l'inno della vittoria! E la notizia che riceveva, impresse al suo essere come una scossa elettrica che ne ritemprava la fibra, spazzandone via le prostrazioni, restituendole la facoltà ed il bisogno di agire. Che stupida era stata a fossilizzarsi nella solitudine, ed a temere che per lei non ci fossero piú soddisfazioni possibili! L'esistenza è una lotta dell'individuo con la società, piena di varie vicissitudini. Chi perde, è un imbecille se non si prepara a vincere in un assalto successivo.
      Insomma, suo marito impazziva e moriva, puramente e semplicemente. Trattavasi di uno di quei fenomeni nervosi al cui rapido sviluppo non vi è argine possibile. Pippo aveva accettato l'abbandono della moglie con un senso di soddisfazione chiassosa: l'ebbrezza dello schiavo che si trova libero, e che vorrebbe il mondo intero partecipe alla gioia della sua libertà. Durante un mese intero, la sua loquacità di bottegaio s'era sfrenata a narrare le prodezze della donna infame, che aveva portata la sciagura in casa Ferramonti, allo scopo di svaligiarla. Egli arrischiava dei particolari scabrosi sulle sue allucinazioni e sulle sue confidenze d'uomo vinto dal fascino d'una sirena; parlava delle sue disgrazie di marito altresí. I curiosi che lo ascoltavano avrebbero riso volentieri, se quelle storie di putredine borghese non avessero presentato anche le tinte sinistre di tragici avvenimenti, che facevano raccapricciare.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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