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      Mostravasi piena di pio fervore, e a poco a poco, con sottili accorgimenti, metteva dalla sua la turba delle pinzochere, il mondo misterioso e potente delle sacristie.
      Verso la metà di giugno, la Corte d'appello confermò la prima sentenza giudiziaria favorevole agli eredi naturali di Gregorio Ferramonti. Questi vennero autorizzati ad entrare al possesso materiale dell'eredità, nonostante ricorso in Cassazione. Irene, ispirata dai nuovi disegni, che il suo spirito d'intrigo almanaccava, depose le armi; rinunciò al ricorso.
      Allora il suo trionfo di donna onesta, la sua apoteosi di vittima s'imposero. Ecco in qual modo ella rispondeva alle accuse di aver portata in casa Ferramonti la vergogna e la morte, per succhiare, come un vampiro, sangue e quattrini di quella famiglia! Restava nel mondo abbandonata e povera. Le avevano rubato anche la bottega di ferrarecce, dove Filippo Ferramonti, colla scusa di prender lei in moglie, era andato a rimpannucciarsi. Ma sí! proprio lei, era stata il demonio in gonnella!... quell'altro, il forestiero scritturale, sceso a Roma colle scarpe che ridevano e coi gomiti al sicuro dalle soffocazioni, quello era il galantuomo! Se ritornava al paese milionario, che cosa voleva dire? Lui i quattrini se li era sudati onestamente, coll'impiego. Non era vera nemmeno la storia del rapimento di quella gioia di Teta; o se era vera, trattavasi di una passione d'amore pura, romantica, da raccogliersi in ottava rima. Che mondo, Dio santo!...
      Una sera, pochi momenti dopo il tramonto, Irene sedeva vicino al balcone aperto di una stanza che le serviva da gabinetto da lavoro e da salotto da pranzo e da ricevere tutt'insieme, nel quartierino occupato a un terzo piano in via Gregoriana.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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