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      – Dunque, Eusebio! – esclamò Salvatore, come se proferisse uno sproposito, tanto per celia, – dunque mi vieni appresso in guerra?
      – Credono ch'io canzoni, ma perdia la mi fuma, – disse il servo del paron Checco, ossia il buon Eusebio, napoleonista compagno del principale. – Basta che il padrone me lo permetta.
      – Che padroni e non padroni! – ringhiò Daniele; ma nessuno gli rispose, fuor che la Teresa con un fremito contenuto.
      – Dacci un saggio della tua abilità, Eusebio! – disse Alessandro Rizio, – provati da bravo.
      – Io?... ah!... sí che mi fo pregare io!... – e spiccato un salto piú leggero che poté, scavalcò il muricciuolo e rimase in bilico, ritto, simile ad un ballerino dopo i giri; vi restò su due piedi callosi, gonfi, tutti a bugne, raccolti in due scarpe di vecchio panno, come due sacchetti di patate. Ma tant'è!... il momento, il luogo e le persone... insomma, raccolse applausi che di piú non ne avrebbe avuti un cavaliere del medio-evo, il quale facesse un salto sopra un cavallo, con indosso l'armatura di ferro.
      – Ihe... ihe... vecchio matto... vecchio buffone! – gridava il paron Checco, – non vi vergognate – e ridi se sai ridere – andatevi a nascondere... matto... con quei piedi... andare al campo... ihe!... ihe!... pazzerellone, nascondetevi...
      – E tu ci va' dassenno, con Salvatore? – domandò seria Fiorenza.
      – Se ci vo?... e come!... so io cos'è amor di madre.
      – Vuoi dir di padre.
      E lui:
      – È lo stesso.
      – No, che non è lo stesso! – esclamò alzando la voce con un gemito la Marietta; e tutti tacquero, compresi d'emozione.


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La rivoluzione in casa
di Luigia Codèmo
pagine 354

   





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