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      ... – domandò con dolcezza Fiorenza.
      Allora Guido, levandosi da dove stava seduto, rispose:
      – Avete sostituito il verbo volere a quello potere.
      – Ah!
      – Per un cuore onesto v'hanno certi casi in cui bisogna metter nome "non volere" a "non potere".
      Un lungo silenzio successe a queste parole. Di lí a qualche tempo venne la Lucietta dalla camera del suocero di Fiorenza.
      – Come va? – chiesero Guido e la nuora.
      – Oh! come l'ha lasciato lei, signora. Pel male si può dirlo fuori di pericolo, ma è molto oppresso.
      – È vero, – soggiunse Fiorenza: – è molto cupo... ma ei ci ha il suo perché, pover'uomo.
      E la Lucia:
      – In fin dei conti ha fatto, fatto per la sua famiglia e poi che costrutto si vede?... Uno via di casa, quest'altra in quello stato.
      – Credo, – disse Guido, – che la lontananza di Alessandro gli sia meno grave delle sciagure di Teresa.
      – È vero! – sentenziò la Lucietta, – tante volte che sospira, io gli dico: signor padrone, coraggio... vedrà, queste cose finiranno, ma lui niente!... oh! quella figlia... bada a replicare, quella figlia, si vede che gli sta proprio sul core, ci ha una fissazione, perché là c'entra l'onore.
      – Ma!... – fece Fiorenza.
      La Lucietta se ne andò. Guido e Fiorenza rimasero soli.
      – Alessandro non ha scritto? – domandò Guido.
      – No!... è giunta una lettera, ma non si capisce quando la scrisse. Certo dov'essere prima di tutti quei brutti accidenti che occorsero, e che gli riferimmo in un biglietto disperato, e di cui ora a mente quieta, mi pento.
      – A non veder lettere si direbbe quasi.


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La rivoluzione in casa
di Luigia Codèmo
pagine 354

   





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