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      – Non lo so nemmen io; forse hai ragione; mi scaldo la testa, – quindi, dopo un momento in cui si raccoglieva in sé medesima, – oh! sai cos'è?... ha fame... e non si degna, è superbo e pitocco.
      – Di noi potrebbe degnarsi, che ci è parente...
      – Meschin di Dio... sapessi come fare...
      – Eppure quant'a questo, – mormorò Clelia, – ho udita una parola che farebbe dubitare di quella povertà... una parola, che gli è sfuggita...
      – A chi? – chiese Fiorenza.
      – Mica a un Tedesco, sai, a un giacobino come lui... il paron Checco...
      Fiorenza stava per domandarle schiarimenti, ma vedendo l'amico approssimarsele, mise il dito sulla bocca, in segno di discrezione e silenzio.
     
      CAPITOLO XIIUNA MISTERIOSA AVVENTURA
     
      Venuto, nel giorno appresso, il momento stabilito, e parendo a Fiorenza che Alessandro fosse quieto, s'intende che al pranzo non era comparso, ella si mise un velo alla lombarda, come s'incominciava a portare, indossò un abito, allora nazionale e che quindi si costumava, ossia di tela turchina, non grossolana, ma solida e ruvidetta; poi uscí. Camminando si stringeva in uno sciallo nero: avea un bell'andar via, movenze elastiche e piene di nobiltà.
      Con una gran cura di non s'insudiciare, mentre guarda a terra, schiva le pozzette di fango, ché la strada non era da per tutto selciata; si tien su, con bel moto, la sottana, e procede pensosa: vede di lontano Rensini, colla sua famiglia, lo schiva per non ritardare coi saluti e colle spiegazioni; già troppo si avanzava il giorno. Era un di quei dopo pranzo di quaresima, in cui, nel prolungarsi della luce diurna, si sentono i lieti presagi, dirò piú, la presenza latente della bella primavera: e forse in quel punto, prossimo all'ore serotine, tuttavia invernali, è piú sensibile che mai, e ne fa piú gradito all'anima il fuggevole incanto.


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La rivoluzione in casa
di Luigia Codèmo
pagine 354

   





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