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      Veramente a un certo punto della strada il bimbo, essendosi svegliato e spenzolando la testa fuori, avea col ditino teso, mostrato un uomo dietro la carrozza: ma allora il cocchiere con un certo scoccar di frusta s'era liberato da quel peso non previsto, e non tollerato.
      Fuggito il mariolo poltrone, ritornò il silenzio. È ben vero che a Fiorenza pareva di aver riconosciuto il fuggente, e che non fosse la prima volta che in quel dopo pranzo lor teneva appresso, come lupo minaccioso e pauroso ad un tempo; ma non disse nulla, per non sentirsi dare della visionaria, della testa esaltata; cosa, fin a un certo punto, e sotto un certo riguardo, anche vera. Sicché tacque, e se non s'addormentò, parve s'assopisse come Alessandro.
      Il qual Alessandro, invece, anche lui pensava: e sentiva quanto il giorno di domani fosse per lui importante. Egli ricominciava infatti la sua vita d'ingegnere, di professionista quasi nulla fosse stato: e la ricominciava senza che la gran causa per la quale fu interrotta, avesse il suo adempimento. E ne provava, tuttoché persuaso di non poter fare altrimenti, uno sgomento indicibile, come se ciò equivalesse tradire l'Italia, patteggiare col nemico: gli pareva che persino il lavoro fosse maledetto. Vi fu un punto in cui, infiammato dalla memoria dell'inno, dalla vista di Salvatore, da tanti discorsi, ci si riprometteva di rifugiar solo a Venezia, e starci sin che egli stesso o la città cadesse. E l'avrebbe fatto senza un pensiero occulto: abborriva l'esilio...
      Dal canto suo Fiorenza si sentiva oppressa da quella quiete, a cui tornavano tutte le cose.


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La rivoluzione in casa
di Luigia Codèmo
pagine 354

   





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