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      Chi, come opportunamente ricordò De Felice, più adorato di Garibaldi dai suoi volontarî? Eppure egli impone alle sue schiere - e chi scrive ebbe la fortuna di trovarsi vicino a lui sulla spianata di Aspromonte e rammenta il tono imperioso e solenne della sua voce - di non far fuoco nel caso che venissero attaccati dalle truppe del Generale Pallavicini, e non viene ubbidito. Non poteva esserlo; perchè era umano che chi aveva il fucile in mano lo adoperasse contro l'aggressore: l'istinto supremo della propria conservazione lo esigeva o spiegava la disubbidienza(148) verso l'idolo dei volontari che avevano preso per divisa: o Roma o morte.
      Uguale fatalità s'imponeva in Sicilia: i consigli alla calma non furono ascoltati, perchè date le condizioni delle(149) masse, non potevano esserlo. C'erano altri e più poderosi agenti di sobillazione, che non permettevano fosse ascoltata la voce dei socialisti coscienti; il grido degli affamati, degli oppressi, dei malcontenti la copriva.
      Quali fossero le cause vere della sobillazione era noto ai magistrati, all'avvocato fiscale, al Tribunale, al Re, oltre che ai suoi ministri responsabili.
      Il Re, nel ricevere la commissione parlamentare a Capo d'anno, aveva manifestato il suo dolore per le sofferenze del popolo siciliano sobrio, nobile, generoso derivanti dalla crisi agraria.... Il colonnello Pittaluga, un valoroso dei Mille, aveva saputo discernere tra responsabilità politica e responsabilità giuridica dell'on. De Felice, e aveva saputo additare le cause complesse - precipua quella economica - «che avevano acuito la sensibilità nervosa del popolo, rendendolo pronto all'incendio, come il filo elettrico è pronto a ricevere la scintilla». Gli odî e le ire dei partiti locali erano comparsi sulla scena in modo ineccepibile nei singoli processi e per numerose testimonianze nel processo mostruoso.


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Gli avvenimenti di Sicilia e le loro cause
di Napoleone Colajanni
Sandron Palermo
1895 pagine 444

   





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