Pagina (33/91)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Ma il latifondo che avrebbe potuto ricevere un colpo formidabile col censimento dell'Asse ecclesiastico non fu distrutto; non fu che sostituito o arrotondato.
      Constatato ciò che di buono potè avvenire in Sicilia col nuovo ordine di cose sorto dalla rivoluzione del 1860 si deve con dolore e con vergogna confessare che lo spirito generale, che alimenta la mafia e che ha la sua base, come si è visto, nella condotta delle classi dirigenti e nell'azione del governo – e si capisce, che tra i due fattori c'è intima connessione – rimase immutato. Si può aggiungere che lo Stato perdette in reputazione; non ebbe piú la sincera e incondizionata adesione e cooperazione del clero, della aristocrazia, della burocrazia.
      Quest'ultima circostanza è gravissima ed ha bisogno di essere documentata.
      Quanto abbia perduto lo Stato nella stima dei Siciliani si può argomentarlo facilmente dalla misura della perdita nel resto d'Italia, dove la sua azione è stata meno nefasta che nell'Isola. Orbene tale misura viene data dai giudizi emessi da tre uomini autorevolissimi, tutti e tre ex-ministri del Re e devotissimi alla dinastia sabauda.
      Eccoli qua, quali si leggono nella Nuova Antologia del 15 novembre 1899.
      Ascoltiamo prima quello di un morto di altissimo intelletto, che fu precettore della regina Margherita, Ruggero Bonghi:
      «Non si vede se gl'italiani abbiano oggi minor fiducia nelle istituzioni che li reggono o negli uomini che li governano.
      «Le prime sono assai piú difficili a mutare che i secondi; e la sfiducia verso le prime è piú lunga e lenta a sanare, che non quella verso i secondi».


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi
(1860-1900)
di Napoleone Colajanni
pagine 91

   





Asse Sicilia Stato Stato Siciliani Italia Isola Nuova Antologia Margherita Ruggero Bonghi