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      ».
      Un altro uomo eminente, e che fu prefetto di Palermo, il senatore Zini, dell'aristocrazia, scrisse: «La Baronia Siciliana superba ed ignava fu non ultima cagione del pervertimento morale onde volentieri si getta il carico sul mal governo dei Borboni».
      Dei nuovi strati della borghesia, alla sua volta l'on. Sonnino, ch'è un borghese grasso, dette questo schizzo sintetico:
      «Non numerosa e, in Sicilia, come dappertutto, avida di guadagno e imitatrice della classe aristocratica soltanto nelle sue stolte vanità e nella sua smania di prepotenza».
      Il feudo, il latifondo, fu il campo di azione dell'aristocrazia; i comuni, le provincie, le camere di commercio e le banche furono riserbate alla borghesia. Ne fecero tale malgoverno colla insipienza accoppiata alla disonestà elevate alla massima potenza, che non sarebbe affatto credibile se non fosse stato documentato sino alla sazietà nelle discussioni parlamentari, nelle relazioni ed altri innumerevoli documenti ufficiali. Sotto l'aspetto amministrativo, la mezza libertà dei cittadini e la mezza autonomia degli enti locali sotto i Sabaudi segnarono un vero peggioramento sulle precedenti condizioni sotto i Borboni. Municípi e provincie servirono a gravare enormemente le imposte, a ripartirle iniquamente, a sperperarne il prodotto disonestamente per fini individuali, senza utilità collettiva, a scopo di nepotismo e di favoritismo, per preparare candidature politiche.
      Queste classi dirigenti – rappresentate dall'aristocrazia e dalla borghesia – colla loro assenza di scrupoli e colla loro fenomenale ignoranza, si può immaginare quale condotta tenevano verso i lavoratori, verso le classi inferiori.


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La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi
(1860-1900)
di Napoleone Colajanni
pagine 91

   





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