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      Il governo, l'ente continuativo che ha rappresentato l'Italia sotto la dinastia sabauda fallì completamente allo scopo in Sicilia e in tutto il Mezzogiorno. Il compito era relativamente facile; infondere in tutti la convinzione che in un libero regime l'impero della legge non pativa eccezioni e che la giustizia uguale per tutti era una realtà. Era il solo modo di distruggere la mafia, eliminandone la ragione di essere.
      Il governo italiano venne meno a questo suo alto compito e sin dai suoi primi atti pare che si abbia assunto in Sicilia quello di distruggere tutte le illusioni sorte nell'animo dei liberali e dei cittadini alieni dalla politica, ma che amavano il quieto vivere, la sicurezza e il retto funzionamento delle leggi.
      Coloro che dovevano essere i restauratori della legge, i promulgatori di libertà, gli educatori nell'alto senso della parola cominciarono coll'alienarsi la simpatia e la fiducia – basi alla necessaria cooperazione delle popolazioni col governo perché si facesse ora proficua – delle masse che si videro trattate con disprezzo come appartenenti a razza inferiore e conquistata. Il pensiero che era nell'animo della grande maggioranza dei funzionari inetti e disonesti – il rifiuto dell'antico regno di Sardegna, la schiuma dei parvenus e degli imbroglioni, che si gabellarono per patrioti per acchiappare un posto – che piovvero in Sicilia fu formulato esplicitamente con soldatesca brutalità dal generale Govone che l'Isola solennemente proclamò barbara.
      La Sicilia venerava Garibaldi: ora dopo due anni che lo aveva accolto come liberatore gli vede data la caccia come a brigante nelle sue terre e lo sa ferito gravemente e trattato come un volgare ribelle ad Aspromonte; la Sicilia credeva che i sentimenti disinteressati di patriottismo e l'aspirazione a Roma capitale costituissero un titolo di onore, ma vede fucilati a Fantina nel 1862 come disertori e malfattori dal colonnello De Villata sette garibaldini, e vede rimosso dall'ufficio il magistrato, che voleva punire il soldato fucilatore.


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La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi
(1860-1900)
di Napoleone Colajanni
pagine 91

   





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