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      Taluni vecchi ruderi della magistratura fece collocare a riposo, altri fece trasferire in altre regioni e qualcuno fu anche dispensato dall'ufficio. Lo stesso risanamento morale portò nelle cancellerie e seppe pure imporsi alla polizia. I processi furono fatti sul serio; le repressioni s'iniziarono pronte e riuscirono severe; nell'aula della Corte di Assise, in cui la mafia ora fischiava ed ora applaudiva, s'impose l'ordine; la giudicatura d'istruzione funzionò normalmente. I risultati furono splendidi: nelle campagne vicine di Messina la banda Cucinotta fu accoppata; in città fu schiacciata la mafia. D'allora in poi in tutta la provincia la delinquenza deminuì sensibilmente.
      Non è evidente che se il governo centrale – ed allora vi era a capo l'onesto Lanza – avesse lasciato fare a Tajani nel distretto della Corte di Appello di Palermo ciò che fece Morena a Messina, la mafia in quelle regioni oramai non sarebbe piú che un triste e doloroso ricordo?
      È vano il volere negare la verità, che dovrebbe imporsi e ai meridionali e ai settentrionali; e la verità è questa:
      I settentrionali assai piú progrediti economicamente, intellettualmente e moralmente molto avrebbero potuto fare per la rigenerazione della Sicilia e del Mezzogiorno. Dato il concetto unitario essi avrebbero avuto il dovere di farlo, se avessero voluto mostrarsi davvero fratelli superiori e se avessero avuto la chiara percezione delle conseguenze che si sarebbero svolte anche a loro danno – lasciando lungamente immutata in una grande regione dello Stato, una condizione di cose profondamente morbosa.


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La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi
(1860-1900)
di Napoleone Colajanni
pagine 91

   





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