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      E il principe per una vigna straboccatamente correndo a l'aiuto de' suoi, intricato tra viti e sarmenti il cavallo cadde, e lui sotto vi fu preso: per la qual cosa il patriarca fu pronunciato cardinale, subito che dal pontefice fu intesa.
      Per non sapere bene usare questa vittoria, perdette il patriarca la impresa del regno, la qual giá per opinione di ogni uomo si poteva chiamar vinta; imperocché fece grande onore al principe prigione e liberollo, con ordine che dovesse mettere in punto le sue genti d'arme e venisse a congiungersi con l'esercito ecclesiastico. La qual cosa mosse a tanto sdegno Iacopo Caldora, capitale inimico del principe, che con tutti li suoi si ritirò da l'impresa: onde ne seguitò che 'l patriarca niuna cosa utile fece poi piú in tutto quell'anno, e Alfonso, che sino a quel dí era stato con qualche rispetto ne le terre, venne fuora a la campagna contra li inimici. E finalmente circa il mezzo de l'inverno il patriarca entrò in Salerno, essendo la rocca in man de li aragonesi; il che inteso Alfonso subito con grosso esercito verso Salerno se ne andò per vie ardue e difficillime del stato dei San Severino, e scontratosi con Paolo Todesco, uno de li condottieri del patriarca, lo ruppe con tutta la sua gente. Poi prese e fortificò tutti li passi, e in modo il patriarca circondò, che forza era che lui e li suoi a man salva venissino ne le mani di Alfonso. Ma il vizioso patriarca, non credendo potere avere l'aiuto dimandato da Iacopo Caldora (il quale estimava per la rilassazione del principe, come abbiamo detto, inimico) si voltò a la fraude e persuadette Alfonso che per opera di Iacopo Caldora era venuto a questa impresa contra lui, e che sua intenzione era far pace, ma non poteva parlarne finché non si avessino levato d'innanzi il Caldora, uomo perfido e maligno.


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Compendio de le istorie del Regno di Napoli
di Pandolfo Collenuccio
pagine 444

   





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