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      Sotto i Normanni e gli Svevi (rammento cose note, ma necessarie), né regni meno rei di Guglielmo il buono, di Federico II e di Manfredi congregandosi a parlamento la baronia, il clero, i maggiori di ogni città, si statuivano le somme da pagarsi al fisco; ma quelle pratiche civili, già decadute sotto gli Angioini ed Aragonesi, cessarono affatto nell'avaro Governo vicereale, che a ragione temeva le adunanze degli uomini e de' pensieri: o se talvolta i reggitori commettevano a' Seggi della città di proporre le nuove taglie, era scaltrezza per evitare i pericoli e l'onta dell'odiosa legge. Poste tutte le gravezze, né però satollata l'avidità o provveduto a' bisogni, si venne a' partiti estremi, sperdendo i beni del demanio regio, dando a prezzo i titoli di nobiltà e le magistrature, infeudando le città più cospicue, ipotecando le future entrate del fisco, e alienandole come quelle dette con voce spagnuola "arrendamenti".
      XIV. Non meno della finanza era mal provvista l'amministrazione de' beni e delle entrate comunali, che per le Costituzioni di Federico II, perciò sin da tempi antichissimi, affidavasi ad un sindaco e due eletti, scelti dal popolo in così largo Parlamento, che non altri erano esclusi dal votare fuorché le donne, i fanciulli, i debitori della comunità, gl'infami per condanna o per mestiere. Si adunava in certo giorno di estate nella piazza, e si facevano le scelte per gride, avvenendo di raro che bisognasse imborsar più nomi per conoscere il preferito. Libertà, che non eguale alle altre regole di Governo e superiore a' costumi del popolo, trasmodava in licenza e tumulti. Due sole amministrazioni si conoscevano, di municipio e di regno: le innumerevoli relazioni di municipio, a municipio, a circondario, a distretto, a provincia, erano trasandate o provvedute per singolari arbitrarie ordinanze.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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