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      Alla mezzanotte del medesimo dì vi fu nuova scossa, forte pur essa, ma non crudele quanto la prima; perciocché le genti, avvisate del pericolo e già prive di casa e di ricovero, stavano attonite ed affannose allo scoperto. Solamente più soffersero dal secondo moto che dal primo le nobili città di Messina e Reggio, e tutta la contrada della Sicilia che dicono Valdémone. Messina in quell'anno 1783, non aveva appieno ristorato i danni del tremuoto del 1744, così che, scuotendo palagi e terre già conquassati, tutto precipitò; si accumularono nuove a vecchie ruine. Duravano i tremuoti, sovvertendo le terre medesime, e tomando spesso allo scoperto materie ed uomini giorni avanti sotterrati. L'alta catena degli Appennini e i grossi monti sopra i quali siedono Nicòtera e Monteleone resisterono lungo tempo, e vi si vedevano fessi gli edifizi, non atterrati, e mossa, non già sconvolta, la terra. Ma il dì 28 di marzo di quell'anno medesimo, alla seconda ora della notte, fu inteso rumor cupo come rombo pieno e prolungato: e quindi appresso moto grande di terra, nello spazio tra i capi Vaticano, Sùvero, Stilo, Colonna, 1200 almeno miglia quadrate, che fu solamente il mezzo dello scotimento, perciocché la forza pervenne a' più lontani confini della prima Calabria, e fu sentita per tutto il Regno e nella Sicilia. Durò novanta secondi, spense duemila e più uomini: diciassette città, come le centonove della Piana, furono interamente abbattute; altre ventuna rovinate in parte ed in parte cadenti; i piccoli villaggi, subissati o crollanti, più che cento: e quel che un giomo stava ancora in sublime, nel vegnente precipitava; imperocché i moti durarono sempre forti e distruggitori, sino all'agosto di quell'anno, sette mesi: tempo infinito, perché misurato per secondi.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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