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      E infine con la Porta ottomana ripeterono in quei giorni medesimi le proteste antiche di amicizia; quello imperatore promettendo a richiesta del re dieci migliaia di Albanesi.
      XXIX. Le cure di guerra grandi e sollecite non distoglievano dalle tristizie de' processi, ed anzi per nemico più vicino e felice imperversarono i sospetti; le autorità di polizia vedevano in ogni giovine un congiurato; in ogni moda o foggia di vestimento un segno di congiura; la coda dei capelli tagliata, i capelli non incipriati, i peli cresciuti sul viso, i calzoni allungati sino al piede, i cappelli a tre punte e piegati; certi nastri, o colori, o pendagli, erano colpe aspramente punite, apportando prigionia e martori come in cause di maestà. Quivi stavano le carceri piene di miseri, le famiglie di lutto, il pubblico di spavento; e tanto più che profondo silenzio copriva i delitti e le pene. Alcuni prigionieri erano stati uditi, altri non mai; nessuno difeso; come la tirannide usa con gl'innocenti.
      Benché nuova legge stabilisse che la infamia per i delitti o le pene di maestà non si spandesse nel casato, ma rimanesse intera sul colpevole, e benché fosse vietato, tanto più nella reggia, difendere o raccomandare i creduti rei, pure due donne, madri di due prigioni, la duchessa di Cassano e la principessa Colonna, questa grave d'anni, quella uscita di giovinezza, entrambe specchi di antica costumatezza, vinte dal dolore, andarono in vesti nere alla regina; e or l'una or l'altra, confusamente parlando e piangendo insieme, la pregarono in questi sensi: - Vostra Maestà che è madre può considerare il dolor nostro, che madri siamo di miseri figliuoli. Eglino da quattro anni penano in carcere, e quasi ignoriamo se vivono.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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