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      Arringava in plebeo, solo idioma ch'ei sapesse, da poggiuolo o scranna per mostrarsi in alto, non preparato, permettendo la disputa o le risposte. Diceva un giorno: - Il pane è caro perché il tiranno fa predare le navi cariche di grano, che ci verrebbero da Barberia; che dobbiamo far noi? Odiarlo, sostenergli guerra, morir tutti piuttosto che rivederlo nostro re; ed in questa penuria guadagnar la giornata faticando per non dargli la contentezza di sentirci afflitti. - Ed altre volte: - Il Governo d'oggi non è di repubblica, la repubblica si sta facendo; ma quando sarà fatta, noi idioti la conosceremo ne' godimenti, o nelle sofferenze. Sanno i saccenti perché mutano le stagioni, noi sappiamo di aver caldo o freddo. Abbiamo sofferto dal tiranno guerra, fame, peste, terremuoto; se dicono che godremo sotto la repubblica, diamo tempo a provarlo. Chi vuol far presto semina il campo a ravanelli, e mangia radici; chi vuol mangiare pane semina a grano e aspetta un anno. Così è della repubblica: per le cose che durano bisogna tempo e fatica. Aspettiamo. - Dimandato da uno del popolo che volesse dir cittadino, rispose: - Non lo so, ma dev'essere nome buono, perché i "capezzoni" (così chiama il volgo i capi dello Stato) l'han preso per se stessi. Col dire ad ogni cittadino, i signori non hanno l'eccellenza, e noi siamo lazzari: quel nome ci fa uguali. - E allora un altro: - E che vuol dire questa uguaglianza? - Poter essere (indicando con le mani se stesso) lazzaro e colonnello. I signori erano colonnelli nel ventre della madre; io lo sono per la uguaglianza: allora si nasceva alla grandezza, oggi vi si arriva.
      Non più ne dirò per brevità, sebbene molte altre sentenze di egual senno io abbia inteso da quel plebeo; e spiacemi di averne tarpato il più sottile per non averle riferite nel dialetto parlato, brevissimo e vivace; della quale licenza ho detto in altri luoghi le cagioni.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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