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      I Borboniani, per la opposta parte, divinando il pensiero del nemico, assai forti sulla prima fronte per cannoni portati a braccia, e per numerosa cavalleria sciolta e scorritrice nel piano come Numida, uscirono in forza dal bosco, ed animosamente guerreggiando forzavano la squadra francese a retrocere.
      Accorse in aiuto altra squadra, mentre Duhesme assaltò in gran giro la città con arti nuove a' difensori; cosicché sbaragliata la cavalleria, più molesta che forte, vinte le batterie, superato e cinto il poggio degli ulivi, fece suonare a vittoria e ad esterminio. Nel quale scompiglio dei Borboniani, compito dalla prima squadra l'ordinato movimento, e così tolte le strade al fuggire, finì la guerra, cominciò la strage; spietata imperciocché i Francesi vendicavano trecento commilitoni estinti, altrettanti almeno feriti, e le morti civili e le audaci risposte alle offerte di pace. Tremila di Sansevero giacevano sul campo, e non finiva l'eccidio, quando le donne con capelli sparsi, e vesti lacere e sordidate, portando in braccio i bambini, si presentarono al vincitore pregando che soprastessero dall'uccidere, o consumassero il castigo meritato da città ribelle sopra i figli e le moglie de' pochissimi uomini che restavano. Quello spettacolo di pietà e di miseria commovendo l'animo de' Francesi, tornarono mansueti i vincitori, sicuri i vinti.
      I fatti di Sansevero, come che bastassero a scoraggiare molte piccole terre della Puglia, confermarono alla guerra le città d'Andria e di Trani; avvegnacché rinforzate pei molti fuggitivi dalla battaglia, e formate nella credenza che Sansevero fosse perduta per forza di tradimento: menzogna sempre usata dai fuggiaschi, sempre creduta dai partigiani.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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