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      XXXVI. Qui erano maggiori e pių giuste le inquietudini; ma l'offerta di pace le consolō, altri credendo diserzioni o ribellioni nei campi della Santa Fede, altri vittorie francesi nella Italia, ed il maggior numero vicina e vincitrice la flotta gallo-ispana. Risposero che a governi liberi non era lecito concedere o rigettare senza consultazioni, che il Direttorio consulterebbe. Frattanto a preghiere del legato di Megčan fu concordato armistizio di tre giorni; ed il ministro Manthonč, al partire degli ambasciatori, disse a' Borboniani che se il cardinale nella tregua non sapesse frenare le sue genti, egli uscendo dal forte impedirebbe le crudeltā, le rapine, il sacco infame della cittā. Rimasti soli, consultavano; e a poco a poco, dubitando delle immaginate felicitā, inchinavano gli animi agli accordi. Manthonč, solo fra tutti, proponeva partiti estremi e generosi, pari al suo cuore, non pari alle condizioni della repubblica. Oronzo Massa, generale di artiglieria, chiamato a consiglio, e dimandato dello stato del castello, rispose il vero cosė: "Siamo ancora padroni di queste mura, perché abbiamo incontro soldati non esperti, torme avventicce, un cherico per capo. Il mare, il porto, la darsena son del nemico; l'ingresso per la porta bruciata č inevitabile; il Palazzo non ha difesa dalle artiglierie, la cortina verso il nemico č rovinata; infine, se, mutate le veci, io fossi assalitore del castello, saprei espugnarlo in due ore". Replicō il presidente: "Accettereste voi dunque la pace?" - "A condizioni, rispose, onorate per il Governo, sicure per lo Stato, l'accetterei".
      Si consumava la tregua, la Gallo-Ispana non appariva, le forze repubblicane menomavano per diserzioni, dechinavano di proponimenti.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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