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      Quanti ne morissero nelle guerre civili o nel tempo senza leggi che più o meno tollerò qualunque città o terra, non fu, per avvedutezza di governo, computato; i fuggitivi montavano a tre migliaia, i cacciati in esilio a quattromila, i condannati a prigionia a parecchie centinaia, assai più alla morte, de' quali centodieci nella sola città capo del regno. Rimanevano dopo il perdono altri mille nel carcere e nel pericolo, ma pure settemila o più escirono liberi. Fu maggior benefizio scegliere capo della Polizia il duca d'Ascoli, nuovo agli offici dello Stato; ma poiché nobile d'animo come di lignaggio, il pubblico ne sperava e ne ottenne giustizia verso i buoni, severità su la plebe tumultuante ancora e ricordevole dei guadagni del 99, già sperduti nei vizi e nella crapula. Quel reggente (così fu chiamato dal nome antico) puniva i soli làzzari con le battiture, pena infame, che, sebbene a quella razza scostumata non accrescesse vergogna, era pericolosa perché arbitraria, ed ingiusta da che poneva ineguaglianza fra i cittadini.
      XVI. Poiché tornò, comunque in parte, la quiete nel regno, il re, sperando il giudizio dei posteri da pietra muta più che dalle sue leggi e dalle istorie, diede carico all'insigne scultore Antonio Canova di ritrattarlo in marmo, in forme colossali e in fogge di guerriero. Ed instituì. Ordine cavalleresco detto "di San Ferdinando", dal suo nome, e "del merito", perché destinato ad insignire tra sudditi o stranieri i notati di fedeltà nelle guerre intestine dell'anno innanzi. La croce, di argento e d'oro, è terminata nelle quattro punte dal fior di giglio; sta nel mezzo effigiato il santo in abito di re della Castiglia; il motto è Fidei et merito; il nastro, colore azzurro orlato di rosso.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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