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      Calche più grandi erano in molti luoghi della città donde scoprivano il mare, e vedevano ad occhio nudo i danni e le morti sopra le due nostre navi; le quali, avendo gli alberi maggiori rotti e rovesciati, spezzate le funi, forate in cento parti le vele, procedevano lentamente, come pompa funebre osservata e compianta dal popolo.
      Ed alfine, al declinare del sole, entrarono in porto, mentre le navi nemiche, offese dalle nostre batterie, si slargavano; e cessato il combattere, grido festivo si alzò da varie parti della città; che i più schivi alle nuove cose, i più nemici di Murat, i più amici dei Borboni, pure in quel giorno palpitarono di pietà di patria e di onore. Non appieno finito il combattimento, il re andò sopra i due legni, fece lode pietosa dei morti, giuliva dei presenti, e diede promesse, adempite nel seguente giorno, di premi e doni. Le due navi rimasero invalide al navigare; furono molti i morti della nostra parte, ed al doppio i feriti, né leggiero il danno degli Anglo-Siculi.
      I quali tornarono all'usata pigrizia; ed il re, che sino allora aveva comandato al generale Partonneaux di non muovere da Monteleone, mutato consiglio, impose di assaltare il nemico e scacciarlo dalle Calabrie. Marciava il generale; ma prima che giungesse in Scilla e Melia, gli Anglo-Siculi, levando a furia l'assedio e 'l campo, abbandonarono artiglierie, altre armi, attrezzi, ospedali e cavalli. Pochi giorni appresso, intesa la battaglia di Wagram, i prodigiosi fatti della Germania e l'armistizio tra la Francia e l'Austria fermato in Znaim, il nemico smurò i forti e le batterie di Procida ed Ischia, rimbarcò le genti, abbandonò le isole, richiamò per segni le altre sue navi che scorrevano lungo i nostri lidi; e tornò ai porti della Sicilia e di Malta.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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