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      Ma quando la feudalità, non più guerriera, divenne incurante di parti e di milizia, il popolo non sentiva di lei fuorché il peso e la superbia. E perciò a' tempi del viceregno, col cadere dell'alta feudalità, il popolo decadeva.
      Questa che ho detto era la condizione di ogni popolo in ogni feudo; ma il popolo unito di tutti i feudi. ossia lo Stato, serbava qualità proprie a sé. Ne' tempi della feudalità guerriera, baroni e popoli, combattenti fra loro. non avevano interesse comune, non leggi universali; non conformità di azioni. non forza pubblica, non nazione; tutti i mezzi mancavano al progresso della civiltà e della indipendenza. Ed a' tempi della feudalità corrotta, i vassalli oppressi da' baroni, i baroni dal re, surse il brigantaggio armato; specie di conforto e di libertà nella universale abbiezione di genti che sentono dei mali il peso ed il fastidio, ma, divise per vizi o per abitudini, non sanno prorompere in generose rivoluzioni. E così, ora più ora meno disordinato, secondo il variare de' tempi, restò il popolo sino all'anno 1806.
      XXXVII. Nel qual tempo molto ancora restava di feudalità. I diritti (sia permesso anche a me invilir questa voce, che per molto uso è meglio intesa), i diritti feudali su le persone si mantenevano apertamente in alcuni feudi, ed in altri furono mutati a pagamento; parecchie angarie o perangarie, come il lavoro di contadini nelle terre baronali, l'officio di corriere, altri servigi domestici, duravano in molte comunità. I diritti su le cose erano esorbitanti; le terre, le industrie, i boschi, i fiumi, le acque, per fino le piovane, ogni prodotto, ogni entrata, gravate di taglie o prestazioni. Fra gli uni diritti e gli altri, su le persone e su le cose, l'onoratissimo magistrato Davide Winspeare, in un'opera meritamente laudata, ne enumera 1395 esistenti all'arrivo di Giuseppe nel 1806.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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