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      XL. In Napoli, come in altre parti d'Italia, estirpati per furioso genio di coltura gli alberi su le montagne, e messe a campo le terre, furono i primi ricolti abbondanti; ma scemavano d'anno in anno; perché dall'acque trasportato il terreno, ingomberate le sottoposte pianure, solcato stranamente il dorso de' monti, e però nudato il colle, devastato il piano, lasciati i torrenti alle proprie licenze ed agli eventi dei turbini, l'agricoltura fu sovvertita. Una legge di Gioacchino riordinava quella parte di amministrazione pubblica; e non bastando i precetti, nominò una direzione suprema in Napoli, altre minori nelle province; impiegati e vigilatori nelle comunità, guardie nelle campagne: che se tutto e troppo nel possesso dei boschi era stato libero, tutto e troppo, dopo la legge, fu ristretto da regole, proibizioni ed ammende: sursero grandi e giuste lamentanze, accreditate dall'avarizia del fisco, sì manifesta in quella legge, che la severità delle pene appariva, non già zelo di bene, ma cupidigia. Ne derivò che provvida legge fusse male accolta dai soggetti e ritrosamente osservata.
      Per altri decreti, l'amministrazione provinciale e comunale migliorava in quanto alle regole, ma peggiorava nel fatto; e del peggioramento era principal cagione il ministro per lo Interno, conte Zurlo, ingegnoso, instancabile, desideroso di pubblico bene, e pure amico di libertà, ma, per lunghe usanze, così devoto alla monarchia e cieco amante del re (qualunque mai fosse di nome o d'indole), che, per soccorrere la finanza, disordinata dalle troppe spese della milizia e della Corte, imponeva al patrimonio dei comuni non pochi debiti del fisco, ed altre somme col nome di "volontario donativo". Perciò quei patrimoni decadevano, il popolo insospettiva: gli spiaceva il risparmio, a vederlo convertito in doni menzogneri, più delle dissipazioni e delle frodi, le quali almeno giovavano ad alcuni della comunità.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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