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      Dubitò da prima il Capobianco; dipoi, non temendo inganni nel viaggio, per vie inusitate, con buona guardia, né temendo in Cosenza, perché proponevasi di giungere all'ora appunto del convito, ed appena compiuto partirne; né in casa del generale, perocché in presenza di tutte le autorità della provincia, depositarie e garanti sì del potere, sì della morale del Governo, rendendo grazie al generale, accettò l'invito.
      Vi si recò, fu accolto, desinò lietamente, e partiva; ma, uscendo dalla stanza, trattenuto dai gendarmi, condotto in carcere, e nel dì seguente giudicato dalla Commissione militare e dannato a morte, fu nella pubblica piazza di Cosenza, sotto gli occhi delle genti inorridite, decapitato E dopo ciò, alcuni (tanto la politica avea mutato la natura delle cose) fuggivano i pericoli e la servitù del regno di Murat per andare in Sicilia a respirar libertà sotto i Borboni. Certo e che nella universale credenza molti vizi, che le istorie e la memoria degli uomini rammentavano, di Ferdinando. sembravano corretti, e molte qualità di Gioacchino (la bontà. la clemenza), per i suoi recenti errori, scomparse. Le violenze e le asprezze poco innanzi adoperate contro il brigantaggio, non si poteva riadoperarle contro la setta dei Carbonari, perocché il brigantaggio esercitava misfatti, la setta chiedeva leggi; ed erano briganti i più tristi della società, Carbonari gli onesti: la Carboneria si depravò col crescere, ma in quel tempo era innocente; venne richiesta o approvata dal Governo, aveva riti e voti benèfici e civili. I più amici di Gioacchino, i più legati alla sua fortuna, non settari, non torbidi, lo pregavano a disarmare la Carboneria con gli usati modi di pubblicità e di lusinghe, come già in Francia e tra noi erasi praticato per la Massoneria; ma lo sdegno, potente in lui, lo tenne saldo nel mal preso consiglio.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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