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      Sedizione sì vasta non aveva costato né delitti né fatiche: i magistrati di Gioacchino nella ribellata provincia erano usciti di posto chetamente; i novelli esercitavano senza vendette o superbia; le leggi erano mantenute; la mutazione d'impero e di ministri era avvenuta in un giorno: indizi tutti di universale consentimento, pericolo maggiore al Governo. Così stavano le cose in Abruzzo, quando il barone Tulli, fuggitone, venne nunzio a Gioacchino.
      Essendo nell'esercito molti soldati abruzzesi, uniti a reggimento, fu prima cura del re nascondere quei casi. Dipoi, consigliando i rimedi, chi dei ministri inclinava al rigore, chi alle blandizie; il re, esarcerbato, stava coi primi, ma il pericolo, a vederlo, era tanto grande, che si adoperarono al tempo stesso perdoni e pene, premi e minacce. Un decreto, agguagliando le adunanze di Carboneria a cospirazione contro lo Stato, puniva di morte gli antichi Carbonari che si adunassero, come i nuovi che si ascrivessero alla setta "". La reggente mandava in Abruzzo le più fide squadre, e due signori abruzzesi, accreditati per bella fama di politiche virtù, il cavalier Delfico e il barone Nolli, mentre il re inviava dal campo il generale Florestano Pepe, autorevole per grado, benigno per indole.
      Ma quella sedizione, senza nerbo di forze interne o esteriori, impeto primo e sconsigliato di accesi ingegni, da sé stessa indeboliva e cadeva. Gli antichi magistrati di Murat ripigliavano le sedi senza contrasto cedute, gl'intrusi le ricedevano più facilmente; le squadre mandate di Napoli vi giunsero dopo la calma; il Del-fico, grave di anni, si arrestò; ed al general Pepe fu surrogato il generale Montigny, francese, violento, maligno. Avvegnaché, intesa da Gioacchino la improvvisa vicenda, non più temendo dei ribelli, volle, ad esempio, aspramente punirli; rivocò le blandizie, afforzò il rigore, e molte morti, molte pene, lacrime ed afflizioni furono il fine di quel fanciullesco rivolgimento.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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