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      Egli nominò suoi ambasciatori nel congresso il duca di Campochiaro ed il principe di Cariati; e ad occasione vi spediva generali ed altri personaggi di fama e d'ingegno.
      Ma volse i suoi maggiori pensieri alle cose interne; reputando che più dei maneggi e dei discorsi valere gli dovesse il voto dei soggetti e la forza dell'esercito, in tempi nei quali menavasi vanto dell'amore dei popoli e della pace. Raccolse in quattro adunanze i migliori ingegni napoletani, e lor disse che, per gli ultimi avvenimenti acquistata da noi piena indipendenza politica, era suo debito riordinare il regno senza o soggezione o somiglianza o gratitudine ad altro Stato; cosi adombrando le tollerate catene per nove anni. Chiamava in aiuto il consiglio de' più sapienti e più amanti di patria, che intendessero a riformare i codici, la finanza, l'amministrazione, l'esercito. Pregava di non correre ciecamente con la fortuna verso il passato, ma considerare che le civili instituzioni della Rivoluzione di Francia e dell'Impero erano frutto in gran parte della sapienza dei secoli.
      E prima che il Consiglio per la finanza proponesse la riforma di alcun tributo, egli di parecchi più gravi alleviò il peso. Per nuove ordinanze giovò al commercio esterno, cosi aggradendo ai suoi popoli ed agli Inglesi, che soli trafficavano nei nostri porti; fece libero coll'abolizione del cabotaggio (tal era il nome di un sistema molestissimo di dogana marittima) il commercio interno; fece libera la uscita delle granaglie; tolse alcuni dazi di entrata, altri scemò; non osava bandire l'assoluta libertà commerciale, impedito dalla poca sua scienza nella pubblica economia e dal mal esempio della Francia e dell'Inghilterra.
      LXIX. Era stata per nove anni invidia e lamento dei Napoletani veder nel regno i Francesi primi agli onori e ai guadagni; e perciò il re, oggi inteso di piacere a' suoi popoli, prescrisse concedersi le cariche dello Stato a' soli Napoletani o a quegli stranieri divenuti per legge cittadini; e non essere cittadino se non a' termini dello Statuto di Baiona; e doversi chiedere la cittadinanza fra un mese; e non chiesta, o non concessa, uscir di uffizio.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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