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      XCIII. Il re, giungendo in Abruzzo, chiarì i fatti del general Montigny. Egli doveva difendere con mila e seicento soldati le fortissime strette di Antrodoco: il dì 1° maggio, all'avviso che il nemico avanzava, le abbandonò, riparandosi all'Aquila. La inattesa fuga del generale ingrandì la comune idea del pericolo e la prudenza, inseparabile dai magistrati civili; la qual prudenza, chiamata da lui tradimento al governo di Murat, accrebbe i suoi timori; così che all'avvicinare del nemico abbandonò la città, e solamente piccola non debole cittadella fu preparata all'assedio. Il Tedesco, maravigliando, credeva che il favore del popolo gli spianasse il cammino, spedì al comandante del forte ambasciate di cedere; e quegli, a nemici non visti, e certamente privi di mezzi di assedio, perocché le strade che percorrevano sono impossibili alle artiglierie, diede la cittadella provvista d'uomini, d'armi e di viveri, a solo patto di vita e di alcune ridicole pompe, che, sotto il nome di militari onori, sono vergogne. Montigny, sul cammino di Popoli informato di quei casi, scrisse al re il foglio del 2 maggio, che al cadere del 3 giunse intempestivo a Tolentino. I Tedeschi, entrati negli Abruzzi, erano intorno a mille.
      Tante sapute viltà, tante vergogne scossero l'animo inacerbito di Gioacchino, e pose in giudizio Montigny, il maggiore Patrizio, comandante del forte. Ma fu tardo il rigore, perciocché i subiti cambiamenti politici impedirono gli effetti: restò il maggiore impunito, e l'altro, avendo bruttata del suo nome la lista de' forestieri che erano a' nostri stipendi, si partì dal regnocon Pheil, Malchewski, Michel, Dreuse, Palma, Lajaille ed altri prodi, dei quali vorrei celebrare le gente se il tolto stile lo comportasse, ed io, cacciato dal lungo tema, non dovessi sovente trasandare alcuni fatti non importanti alla storia, sebben cari al mio cuore.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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