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      Di loro si fece capo, o lo era, il principe di Canosa, che, divenuto ministro, gli agitò co' mezzi e nel segreto della setta; accrebbene il numero, distribuì patenti ed armi, diede comandi e consigli: attendeva l'opportunità di prorompere nella città e nelle province, al giorno istesso, su le sètte nemiche. E per avvincere l'animo del re, Canosa, doppiamente adultero, sempre ubbriaco di vino e di furore, esercitava con pompa tutte le pratiche della cristianità, e religioso era tenuto dal re e dal volgo. Maraviglia vederlo in chiesa genuflesso agli altari, mormorare preci e baciare sante reliquie; maraviglia vederlo in casa trattare opere inique sotto le immagini del Salvatore e dei santi, e le sale ripiene di delatori e sicari, e di confessori e frati, che avevano fama di santità.
      Ma tanta ipocrisia nol nascose, perciocché, prima del preparato scoppio, furti, omicidi, assassini si commettevano; le città di ribaldi, le campagne di grassatori erano ingombre; i Carbonari, offesi, rioffendevano; erano minacciate le autorità, conculcate le leggi, la forza pubblica partecipante ai delitti o inefficace a frenarli. Del quale abisso civile cercate le cagioni e trovate in Canosa, furono imprigionati gli emissari suoi nelle province, sorpresi i fogli, palesate le trame. Più che della sofferta peste il popolo n'ebbe sdegno, perciocché tutte le avversità egli perdona al destino, nessuna agli uomini. Restava intanto ministro: alcuni consiglieri di Stato e grandi della Corte, gli ambasciatori di Austria e di Russia pregavano il re a discacciarlo, e quegli a stento, per altrui, non per proprio consiglio, lo rivocò dal ministero, lasciandolo ricco di stipendi. Volle il Canosa partire dal regno, tale uomo essendo che non può vivere nella sua patria che da tiranno.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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